Martina Gedeck, Ulrich Mühe, Sebastian Koch, Ulrich Tukur, Thomas Thieme, Hans-Uwe Bauer, Volkmar Kleinert, Matthias Brenner.
Dramm., col., 137 min.
Germany, 2006.
A shared multilingual European blog about books, music et cetera
1) "Le conseguenze dell’amore", Paolo Sorrentino (2005)
International titol: The consequences of love
2) "L’ora di religione (il sorriso di mia madre)", Marco Bellocchio (2002)
European title: The religion hour
International titol: The religion hour (my mother’s smile), or only My mother’s smile
3) "I cento passi", Marco Tullio Giordana (2000)
Canadian title: One hundred steps
International title: The hundred steps
4) "L’imbalsamatore", Matteo Garrone (2002)
International title: not found
5) "La meglio gioventù", Marco Tullio Giordana (2003)
International title: The best of youth
by Bill Condon. Beyonce Knowles, Jamie Foxx, Eddie Murphy, Danny Glover, Jennifer Hudson. DreamWorks Pictures and
The tribute to the modern American popular music is becoming trendy: Dreamgirls shortly follows “Radio
Non molto da aggiungere…il film scorre, se non fosse per un sopravvento della musica sulla trama verso la metà. Quando per ogni dialogo sembra che debba partire un pezzo. Ma le canzoni, Soul and R&B, sono forse la cosa migliore. Insieme ad alcune voci nere, alla bellezza di Beyoncè, e al mitico Eddie Murphy, che calza alla perfezione il personaggio (in particolare nella scena in cui prova al piano con tuta rossa in acrilico luccicante). Se non c’è niente di meglio venerdì sera… ---
--- La imatge inicial, atents, ja ens mostra que aquest film no se sembla a gaires altres: un pla de dos minuts d’una cinta transportadora amb un grum que porta una maleta. Després, la pel·lícula. Un home de cinquanta anys passa el dia al bar de l’hotel on s’hostatja des de fa, exactament, vuit anys. Sempre amb les mateixes rutines, el mateix cigarret a la boca i assegut en el mateix racó al costat de la finestra. Ningú sap què hi fa allí ni perquè s’hi està. Sóc un comerciant, diu. Però tot es desenvolupa a la Suïssa italiana i aquest no és un fet irrelevant. Lentament l’argument comença a prendre forma.
Un thriller on s’hi barreja amor, màfia i sol·litud amb una cadència lenta però apassionant que permet entrar en la psique dels diferents personatges. Sobresurt el de l’estrany hoste (captivador Toni Servillo), però també el de l’encisadora cambrera Olivia Magnani). Amb cops existencialistes fantàstics, amb autèntic i sorprenent sentit de l’humor italià, amb extraordinària habilitat per al suspens.
Després d'aquestes descripcions no és d’estranyar que la història m’acabés entusiasmant. El fum que surt del cigarret, l’inexplicable misantropia del personatge principal, la necessitat de l’amor. Tot lliga i et duu parsimoniòsament història avall. Les crítiques que he llegit després ho corroboren: una gran pel·lícula on tot encaixa com un rellotge suís. Ara bé, si el tempo lent us aclapara i la vostra companya es desperta a mitja pel·lícula amb mala llet, ho podeu passar malament.
Valoració: Un enigmàtic thriller (sí ) italià.
Simona Baldanzi, Fazi, Roma, 2006.
An italian young writer tells us about the workers world of her country between two different generations. Two different points of view interlace each other in a beautiful story of love. Love for the ethic of work, love for men's history and above all love for a territory: the beautiful mountains of Mugello. ---
Di Simona Baldanzi avevo letto il racconto Finestrella viola, vincitore del premio Campiello giovani nel 1996 e un piccolo stralcio del presente romanzo, che poi sarebbe diventato il capitolo Portone.
--- Nel suo romanzo d'esordio, autobiografico, Simona Baldanzi riesce in un'operazione assai difficile. Riesce a dichiarare il proprio amore per qualcosa che proprio nello stesso momento e forse anche proprio grazie allo stare scrivendo tale dichiarazione, sta lasciando. E' come un fidanzato che inizia l'ultimo discorso alla propria amata dicendo "Ti amo ma…". La cosa mirabile è che riesce però a farlo senza che le sue parole risultino minimamente ipocrite o false. Simona lascia il mondo del lavoro operaio, il mondo che ama, che l'ha vista nascere e crescere una prima volta tra le lavoratrici di una fabbrica tessile e che l'ha vista rinascere e conquistare una propria identità matura tra i minatori della TAV, quei minatori, fratelli al suo mondo per classe sociale, ma lontani per origine, portati in casa sua per straziare le montagne a cui è così legata.
Simona non è destinata a fare l'operaia, malgrado ancora in Italia esista, soprattutto in certi ambienti, una sorta di predestinazione sociale per cui il lavoro e la vita che si farà sono spesso legati a quelli dei propri genitori. Simona farà altro e tra le altre cose, per nostra fortuna, la scrittrice. Malgrado ciò non si stacca dalle proprie radici, dal proprio territorio; non tradisce né le sue montagne né i suoi lavoratori.
La sapienza di quello che sta raccontando passa attraverso le storie, storie a lei vicine fisicamente ed emotivamente, storie anche diverse dalle sue private ma delle quali è venuta a conoscenza parlando con la sua gente. E passa attraverso un uso bello delle parole e del fraseggio. Un uso apparentemente semplice e molto preciso, così raro tra i giovani scrittori.
Nel romanzo di Simona Baldanzi la storia della protagonista si intreccia con quella dei lavoratori, della fabbrica che non c'è più, delle nuove gallerie, dei nuovi centri commerciali, in maniera delicata e sapiente. Se in La dismissione, di Ermanno Rea il punto di forza era dato dai dettagli tecnici e storici relativi alla fabbrica e la storia privata del protagonista sembrava quasi un pretesto, in questo romanzo ci si appassiona alla vita della giovane ricercatrice la cui vicenda viene narrata con il pudore tipico delle autobiografie. I piani che si intrecciano sono tanti, si scorrono molti ambiti della vita della protagonista, dal suo lavoro, così diverso da quello di cui principalmente ci parla, al suo impegno politico e sociale. Ci piacerebbe poter leggere cosa pensa la protagonista del romanzo, così caparbia, forte e al contempo delicata, del recente vigliacco attentato alla sede del partito comunista di un grosso paese del suo amato Mugello, sapere se pensa che possa avere a che fare con le continue angherie che quel territorio sta subendo in nome di una distorta modernità.
Di Susanne Bier, Danimarca, Svezia, 2006. Con Mads Mikkelsen, Sidse Babett Knudsen, Rolf Lassgård, Stine Fischer Christensen, Christian Tafdrup, Frederik Gullits Ernst. Genere Drammatico, colore, 120 minuti.
Original titol: "Efter brylluppet". International titol: "After the Wedding".
Come spesso accade, i film da vedere sono quelli che i grandi media non si sognano nemmeno di pubblicizzare.
Dopo il matrimonio, candidato agli Oscar per la Danimarca, segue di qualche anno l'altro bel film della regista Susan Bier Non desiderare la donna d'altri.
Dopo il matrimonio, però, mi pare ancora più convincente e maturo del precedente.
Merita di essere visto innanzitutto per la capacità di parlare di temi grandi come la sconvolgente sperequazione nella distribuzione della ricchezza tra "nord" e "sud" del mondo (tema che, più che da qualsiasi dialogo, prorompe dal contrasto stridente nelle prime sequenze tra le strade dell'India e i verdi paesaggi della Danimarca) attraverso le vicende intime, personali e familiari dei personaggi, legati tra loro da un filo che, da una parte all’altra del mondo, presto li costringerà a ripensare le proprie vite, il proprio passato, le proprie responsabilità.
Il film si fa apprezzare poi per la bravura degli attori, sconosciuti al grande pubblico non danese, e per l'ottima regia.
E inoltre per la bellezza della fotografia, fatta di grandi paesaggi, ma anche di primissimi piani di occhi, mani, bocche, a voler idealmente avvicinare lo spettatore ai sentimenti dei personaggi, descritti peraltro con molta sobrietà e senza concessioni al melodramma.
Sinossi
Jacob lavora in India, in un orfanotrofio prossimo alla chiusura per carenza di fondi. Jørgen, un ricco uomo d'affari danese gli fa un'insolita proposta: donerà all'orfanotrofio una grossa somma, a patto però che Jacob torni in Danimarca, dopo 20 anni di assenza, per partecipare al matrimonio della figlia del donatore. In Danimarca Jacob incontra Helene, il suo grande amore del passato, che ne frattempo si è sposata proprio con Jørgen.
La sparizione di Majorana è la materia centrale della ricostruzione di Sciascia. Non è un uno dei suoi migliori libri, niente a che vedere con la prosa asciutta de “Il giorno della civetta” o “A ciascuno il suo”, dove con pochi tratti disegna la Sicilia intera. In alcuni passaggi la scrittura è contorta, come un percorso tormentato di ricerca storica ed interiore. Ed in effetti è la vicenda che cattura il lettore: il mistero dei meandri della mente, che porta l'uomo a scomparire senza traccia a 31 anni, nel pieno delle proprie capacità, lascia spazio al dissidio tra curiosità, conoscenza, scienza, e la vita vera. I sentimenti e le ragioni dei reclusi di Los Alamos, che progettarono e realizzarono l'Atomica, forse non sono immaginabili, e comunque lasciano sbalorditi. Come se Ulisse, dopo le colonne, avesse trovato Hiroschima. Sciascia ipotizza che Majorana avesse previsto, se non calcolato, lo sviluppo della bomba, e si sia sottratto ad una tale responsabilità: una follia così lucida da gurdare più avanti, mentre il senno dei futuri progettisti li avrebbe resi ciechi perfino durante gli esperimenti? O, al di là della bomba, solo una inadeguatezza alla vita, forse davvero il segno di una visione dall'alto dell'inconsistenza dell'esistenza?
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